02/09/14

Ci sono un regista canadese, uno scrittore newyorkese e il topo come unità monetaria...


Un compito davvero arduo quello di trasporre un’opera di un mostro sacro della letteratura contemporanea, un’impresa che ben pochi riuscirebbero a portare a compimento dignitosamente. Beh, il cineasta canadese David Cronenberg ce l’ha fatta e ha portato su pellicola Don DeLillo in maniera impeccabile, seguendo l'evolversi della trama del libro e ricalcandone gli avvenimenti, non lesinando una forte critica alla globalizzazione ed al vacuo mondo della finanza (il rimando ad Occupy Wall Street è evidente). 
Seppure il trailer lasciasse presagire un film più veloce, l’apparente lentezza del girato (che segue fedelmente l’apparente lentezza del libro) non inficia minimamente la visione, e permette di soffermarsi su aspetti più sottili e "meta-filosofici" approfondendo le tematiche della new economy, del rapporto tra media e finanza, etc.



Il cast risulta all'altezza (sì, persino Pattinson si rivela adatto e non dispiace nella parte del protagonista), e il finale tra il giovane rampante senz'anima e il suo "alter ego" consumato dall'odio e dal senso di sconfitta (un Paul Giamatti drammatico ed emotivamente perfetto nella sua disgregazione interiore, ed esteriore) è già storia del cinema (almeno per me). 
Cronenberg riesce a mostrarci il senso di alienazione e di vacuità che pervade le pagine del libro omonimo di DeLillo, e crea un climax ascendente di rivendicazione e di rottura degli schemi precostituiti che porterà al finale, tanto rivelatore quanto creato "a tavolino" dal protagonista, una volta compreso il proprio errore, che ha dato il via alla serie di drammatici eventi che caratterizzano la giornata in cui l'azione si svolge.


L'asetticità, l'incontrollabile perfezione hi-tech (che sfugge all’umanità, risultando sempre più autonoma e indipendente dalla fallibilità dell'individuo) il morboso rapporto (di dipendenza) con la tecnologia, sublimata nella figura della Limousine, vero e proprio ufficio "mobile" dotato di ogni comfort, ma privo del seppur minimo briciolo di umanità, proprio come il suo ricchissimo e spregiudicato proprietario, mi hanno riportato alla mente Crash (film impegnativo e assai morboso del regista canadese), del quale Cosmopolis rappresenta, a mio parere, una sorta di immaginaria continuazione, non tanto come film in sè (non hanno molto a che spartire) ma nel modo di fare cinema di Cronenberg, in quella sua sensazionale ed inquietante esibizione del rapporto uomo-macchina e dell'evoluzione (o involuzione?) verso una società sempre più sofisticata e ricca materialmente (ma sempre più rozza e povera emotivamente). 


Esperimento riuscito, nessun regista al giorno d'oggi sarebbe riuscito a rendere meglio su pellicola Cosmopolis, senza snaturare il significato datogli da DeLillo e mantenendo una coerenza interna rispetto al proprio personalissimo percorso artistico. C'era da aspettarselo, visti i due "mostri sacri" chiamati in causa, e non ho alcun dubbio sul fatto che l'opera in questione diverrà un cult nelle prossime decadi assurgendo a manifesto cinematografico di questa particolare e travagliata epoca storica.

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