Partivo
prevenuto e molto scettico riguardo ad una pellicola amata oltreoceano e
bistrattata da troppi in Italia, uno tra i più potenti fenomeni mediatici del 2013.
Sin dai primi minuti
di visione Sorrentino ci mette davanti ad un bivio: se ti va di osservare la
bassezza e sciatteria dei costumi della Roma “bene” accomodati e abbi un po’ di
pazienza, altrimenti premi il pulsante stop, fai un bel respiro e dedicati ad
altro. Zero rancori.
Vedere
la terza età che si scatena in disco e aspira cocaina e alcol come fossero
noccioline fa senso, non lo metto in dubbio, ma è conseguenza di quel mondo
vacuo e autosputtanante che è lo showbusiness. Secondo voi i vari presentatori,
attori, calciatori, veline, politicanti etc. hanno altri modi per “divertirsi”
e sentirsi VIP a tutti i costi? Io ne dubito.
Oltrepassato il primo
scoglio entriamo nel fragile universo di Jep Gambardella,
giornalista e scrittore di un romanzo cult di quarant'anni prima, interpretato
da un Toni Servillo in stato di grazia. Jep è complesso, ha delle
regole tutte sue, come si evince da questo monologo: “Quando sono
arrivato a Roma, a 26 anni, sono precipitato abbastanza presto, quasi senza
rendermene conto, in quello che potrebbe essere definito il vortice della
mondanità. Ma Io non volevo essere semplicemente un mondano. Volevo diventare
il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il
potere di farle fallire”.
Diviso tra emozioni
passate e mai dimenticate ed un presente scialbo e superficiale, Jep è un vero
e proprio filo conduttore tra tutta la “fauna” del film, un mattatore che ruba
la scena e che regala momenti attoriali davvero sublimi.
Roma, inoltre, fa da sfondo a
delusioni e falsi miti e assiste immobile ad un processo inesorabile, figlio di
decenni votati al culto dell’apparire e dell’ostentare.
Chi si lamenta de La
Grande Bellezza e lo trova noioso forse fatica a guardare in faccia la realtà o
quel che di essa emerge su pellicola. Sorrentino per certi versi si
autocompiace dietro la macchina da presa e per altri è impietoso nell’esibire
senza vergogna i vizi e i forti limiti di una società incapace di guardare al
futuro e ingabbiata in un “qui e ora” privo di sostanza e responsabilità.
Oltretutto c’è la consapevolezza che la bellezza esiste, basta saperla
osservare senza farsi continuamente distrarre.
E’ giusto ragionare su quanto ci
lascia un’opera del genere, una volta ultimata la visione.
Credo sia doveroso non mettere la testa
sotto la sabbia ma pensare che probabilmente non è così sbagliato mostrare al
mondo un’Italia viziata e viziosa, prigioniera di se stessa.
Troppo facile la strada del buonismo: Sorrentino decide di avventurarsi in un territorio ostico, andando perfino a farsi beffe di alcune autorità, il Clero in primis.
Troppo facile la strada del buonismo: Sorrentino decide di avventurarsi in un territorio ostico, andando perfino a farsi beffe di alcune autorità, il Clero in primis.
Ho apprezzato questa scelta, come ho
pure apprezzato il cast (ad esempio Verdone e la Ferilli faccio fatica a
tollerarli, ma li ho visti come funzionali e molto adatti), la fotografia
sontuosa e le avvolgenti musiche che fanno da sfondo all'intera vicenda.
Il mio timore approcciandomi a
questo film era forte, ma sono lieto di aver avuto impressioni molto distanti
da quanto mi aspettassi. Non entro nel merito del “felliniano o non
felliniano”, sta di fatto che ho assistito ad un film che di certo non cambierà
la storia d’Italia, ma che ne affresca provocatoriamente alcuni aspetti, senza
trascurare una poesia ed una raffinatezza di fondo che palesano le qualità
registiche di Sorrentino.
Ora, chi vuole torni
pure a guardarsi il Grande Fratello, Masterchef o i Cinepanettoni. A me basta il
Cinema, per il resto lascio.
Non mi reputo un accademico e nemmeno un bugiardo: La Grande Bellezza mi è piaciuto e lo consiglio a quei pochi che ancora non l'hanno visto (agli altri, invece, consiglio di rivederlo).
Voglio concludere questo post con lo splendido monologo finale di Jep Gambardella: “Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.”
Non mi reputo un accademico e nemmeno un bugiardo: La Grande Bellezza mi è piaciuto e lo consiglio a quei pochi che ancora non l'hanno visto (agli altri, invece, consiglio di rivederlo).
Voglio concludere questo post con lo splendido monologo finale di Jep Gambardella: “Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.”
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